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La messinscena della carità

La carità é, in realtà, l'interesse ( egoismo ) personale mascherato da altruismo. Certo è difficile accettare che ci possono essere delle occasioni in cui non siamo genuini nei nostri tentativi di essere affettuosi e fiduciosi nei confronti degli altri. 

Esistono due tipi di egoismo. Il primo tipo è quando noi concediamo a noi stessi il piacere di compiacerci. Questo è quello che comunemente chiamiamo egocentrismo. il secondo è quando ci concediamo il piacere di compiacere gli altri. Questo sarebbe un tipo di egoismo più raffinato.

il primo tipo appare più che evidente, mentre il secondo è nascosto, molto nascosto, e per questo motivo più pericoloso, perchè finiamo per sentirci davvero buoni.  Di questi tempi,queste parole le sentiamo solo in chiesa; in questi tempi meno male che abbiamo il Vangelo come punto di riferimento. Quello che sto per scrivere, sono cose scomode, scomode non solo per chi le sta leggendo, ma scomode per me, per tutti. Il Vangelo non è un soprammobile da comodino, un bell'oggetto. Il Vangelo significa la "Croce".  Nel brano evidenziato qui sotto, spiega chiaramente e in modo diretto cosa dice il Maestro 

 

 

                                                                                                       

                                                                                                         

 Gesù, ci esorta a guardare, a vedere con il cuore, quello che vediamo con gli occhi. "Non ti abbiamo visto" dicono i giusti. Anche il Papa dice:<< Il programma  del Cristiano, è un cuore che vede, questo cuore che vede dove c'è bisogno di amore e agisce in modo conseguente>>. Siamo invitati a guardare, chiudere gli occhi è facilissimo; basta stare sulle proprie posizioni, al caldo della nostra casa, mangiare, bere, pensare a cosa dovremo fare domani per divertirci...ecc. Dobbiamo sapere, che anche nei nostri paesi, molto vicini a noi, c'è qualcuno che stasera magari non sa dove andare a dormire, non avrà da mangiare, non potrà curarsi, avrà un qualsiasi tipo necessità. Qualcuno dirà:- è colpa sua se non ha più la casa. E' stata una scelta sua andare a fare il barbone. Se ha fame è perchè ha perso il lavoro, era sempre a casa in mutua. Però, vedete questo brano di Vangelo è molto scaltro con noi. Quando dice: Avevo fame, avevo sete, ero ignudo, non dice perchè aveva fame, sete ecc. non ci dice il motivo, siamo noi che dobbiamo guardare e vedere la situazione in cui vivono tanti bisognosi.  Quando poi il Giudice dirà:<< Ero straniero e mi avete accolto>> .  Penso che oggi è la stilettata più grave che riceviamo. che cosa stiamo sentendo in questi giorni? Stiamo sentendo parole, e assistendo fatti, che con questo Vangelo non hanno niente a che fare, non si coniugano per niente. Molti di noi vedono l'arrivo di disperati sulle coste italiane, e quanti di noi capiscono che sono disperati, se rischiano la vita è perchè hanno la speranza di poter vivere e dar da mangiare ai propri figli. Tanti così detti cristiani come si comportano? 

Persone pronte a battersi per un Crocefisso, disposte a far guerra, usando parole che si dipinte di giustizia o di giustizialismo, parole di difesa del territorio. Parole che non riescono a coniugarsi con L'EUCARESTIA.
Mi domando come si possa fare la Comunione e dire certe cose? Come facciamo anche noi, comunità della santa Chiesa cattolica, a starcene nella nostra bambagia e fuori c'è qualcuno che è al freddo. qualche giorno fa stavo andando a messa in una cittadina vicino al nostro paese, nei pressi della chiesa ho trovato uno straniero in lacrime; aveva gli occhi talmente rossi che non riusciva nemmeno a tenerli aperti, tanto era disperato. E' stato mandato via dal ristorante dove lavorava perchè colpa della crisi il lavoro è diminuito. Lo facevano lavorare in nero, l'hanno sfruttato più che han potuto guadagnandoci sopra e ora l'hanno mandato via, con la scusa che non aveva il permesso di soggiorno; e mi sa tanto che in questo paese non ce l'avrà mai. Mi chiedeva l'elemosina, per procurarsi un po di cibo.

E' dura la situazione. Noi siamo tra l'incudine e il martello, anche noi siamo delle vittime. Ci sono questioni politche molto più grandi di noi. Negoziati fra paesi che non finiscono sulle pagine dei giornali, che restano nei salotti, nelle congregazioni segrete della massoneria. Poi a noi con falsa  informazione fanno vedere quattro cosette, ci intontiscono di baggianate, e ci coprono della loro verità. Ma la realtà è che non c'è la giustizia a livello sociale, perchè a qualcuno fa comodo così. E' un momentaccio per questo Vangelo scomodo! Non riesce ad incastrarsi dentro le nostre scelte. Ci sentiamo minacciati da questo Vangelo, minacciati di perdere tutti i diritti che ci siamo procurati travisando l'insegnamento del Vangelo. VANITA', TUTTE VANITA', dice il Libro della Sapienza. A che serve accumulare, accumulare. Pensiamo piuttosto alla vedova che dona l'unica moneta, al buon Samaritano, al racconto del Ricco Epulone. Prendiamo esempio da personaggi come Madre Teresa di Calcutta, ed altri ancora,che sono tanti. Però l'importante è, non pensare che "ci pensa gia qualcunaltro." 
 
                     

                                                                                                                    CON IL SUO AIUTO.  

A.L.(U)
 


 

Immigrazione, papa Francesco: “Dare i conventi chiusi ai rifugiati”  
 

Il pontefice, in un incontro al centro Astalli, ha lanciato l'idea di riutilizzare i monasteri non più in uso per ospitare i profughi

“A cosa servono alla Chiesa i conventi chiusi? I conventi dovrebbero servire alla carne di Cristo e i rifugiati sono la carne di Cristo”. A dirlo è papa Francesco, durante il suo discorso nel centro Astalli.  I “conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare i soldi”. Il pontefice ha aggiunto che “il Signore chiama a vivere con generosità e coraggio la accoglienza nei conventi vuoti” e che possono servire per accogliere i rifugiati.

Francesco ha voluto ringraziare i rifugiati ospiti del Centro Astalli, la struttura gestita dai Gesuiti: “Grazie, perchè difendete la vostra e la nostra dignità umana”. La visita al centro si è svolta in forma riservata, senza la presenza di cameramen e giornalisti. Il Papa ha poi voluto sottolineare la necessità che non basta limitarsi a una forma di elemosina, di garantire a ciascuno “un panino”, ma occorre accompagnare con gesti concreti il percorso di integrazione di immigrati, profughi e rifugiati

VANGELO (Lc 6,20-26)
Beati i, poveri. Guai a voi, ricchi.
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
"Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora
avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché
riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi
metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome
come infame, a causa del Figlio dell'uomo. Rallegratevi in quel giorno
ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo
stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. 
Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora
ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli
uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri
con i falsi profeti".
Parola del Signore.

Caritas di Novara – Convegno Diocesano

 

Borgomanero sabato 24 febbraio 2018

 

 

Sviluppare partecipazione nella comunità cristiana attorno alla fragilità

 

Don Roberto Davanzo

Parroco a Sesto San Giovanni (MI)

 

 

 

  1. La questione seria che ci complica la vita: “il crollo del noi”, ossia la radice delle nostre maggiori fatiche

 

Tale radice la possiamo descrivere a partire dalla percezione di un deficit comunitario nel modo di vivere la fede che negli ultimi decenni si è generato nell'esperienza di fede dei nostri territori. Abbiamo "tenuto" rispetto al tema della "pratica religiosa" (le nostre messe festive sono ben partecipate e ben seguite), assistiamo a una partecipazione più che consolante a momenti di devozione popolare, ma non possiamo non richiamarci alla regola che dentro il cristianesimo non si è e non si agisce mai da soli. La percezione è che se un sentimento di fede rimane diffuso nei nostri territori, si tratta di una fede "fai da te", una fede che stenta a mettersi di fronte alla Parola di Dio, sua principale fonte ispiratrice, una fede che rifugge dalla fatica di costruire qualcosa insieme. Non solo. Spesso le nostre comunità parrocchiali – piccole o grandi che siano - ci fanno assistere ad una struttura "a canne d'organo" dove i pur tanti gruppi e realtà aggregative agiscono, si ritrovano, hanno momenti qualificati di incontro, ma talvolta si ignorano, non si conoscono, al punto da non ritenere neppure di dovere investire tempo ed energie affinchè altri conoscano le proprie attività. Anche quanti le frequentano in modo molto occasionale non perdono l'occasione per ostentare l'orgoglio di una appartenenza che di fatto rimanda ad un passato remoto che - sul piano della fede - fa fatica a declinarsi al presente o al futuro.

 

Dunque, come aiutarci ed aiutare a pensare e vivere una fede sempre più comunitaria e sempre meno autistica e devozionale? In che modo favorire la crescita di battezzati (laici, religiosi, presbiteri) che dentro il mondo creino spazi sempre nuovi di visibilità della fede, il cui frutto siano forme di Chiesa sempre giovani e generative? In che modo il cattolicesimo di popolo, che è la forma che il cristianesimo ha assunto nelle nostre terre, potrà avere un futuro?

 

Un secondo deficit con cui siamo chiamati a fare i conti è quello relativo alla dimensione missionaria della fede e che potremmo tradurre con l'ansia per gli assenti. Guai accontentarci di quelli che già vengono, guai ignorare i tantissimi battezzati per i quali la fede non dice più nulla alla loro vita.

 

Ci chiediamo:

  • In che modo declinare lo slogan della chiesa in uscita valorizzando gli ambiti di incontro che già abbiamo a disposizione?

  • Come approcciare le famiglie che chiedono il battesimo perché si generi un legame che vada al di là della celebrazione del sacramento?

  • Come rendere il percorso di accompagnamento al matrimonio cristiano un luogo di riscoperta della comunità cristiana per chi l'ha abbandonata da anni?

 

L'espressione cara a Francesco di una chiesa in uscita non ha a che fare anzitutto con una prospettiva di tipo caritativo. Non significa il dovere di uno spirito di accoglienza nei confronti ad es. del fenomeno migratorio. Piuttosto, chiesa in uscita significa il dovere di pensarsi discepoli e dunque missionari.

 

La diocesi di Milano ci ha visti passare da 30.000 battesimi del 2008 ai poco più di 20.000 del 2016. Il cattolicesimo a cui siamo stati abituati, nel quale siamo cresciuti è ormai alle nostre spalle. Ma dobbiamo ammettere che non siamo ancora preparati ad assumere atteggiamenti adeguati alla sfida che ci sta dinanzi. La Chiesa viene sempre meno vissuta come corpo, come popolo. La si vede come istituzione alla quale accedere individualisticamente alla bisogna (un certificato, un sacramento, una messa, ...). Non riusciamo a trovare strade per rendere di nuovo la Chiesa quel luogo in cui vivere relazioni di generazione, ruoli educativi e comportamenti esemplari che stanno alla base di qualsiasi testimonianza cristiana. Riusciremo a dare futuro alla esperienza di popolo di Dio nella storia in questo nostro occidente in piena trasformazione?

 

"Nel Vangelo è bello quel brano che ci parla del pastore che, quando torna all'ovile, si accorge che manca una pecora, lascia le 99 e va a cercarla, a cercarne una. Ma, fratelli e sorelle, noi ne abbiamo una; ci mancano le 99! Dobbiamo uscire, dobbiamo andare da loro! In questa cultura - diciamoci la verità - ne abbiamo soltanto una, siamo minoranza! E noi sentiamo il fervore, lo zelo apostolico di andare e uscire e trovare le altre 99? Questa è una responsabilità grande, e dobbiamo chiedere al Signore la grazia della generosità e il coraggio e la pazienza per uscire, per uscire ad annunziare il Vangelo. Ah, questo è difficile. E' più facile restare a casa, con quell'unica pecorella! E' più facile con quella pecorella, pettinarla, accarezzarla… ma noi preti, anche voi cristiani, tutti: il Signore ci vuole pastori, non pettinatori di pecorelle; pastori!" (papa Francesco, 17 giugno 2013)

 

La globalizzazione ci ha riavvicinati in un unico “noi”: una sola umanità. Eppure sembra che il “noi” si sia impoverito della sua forza. Anzi, sia crollato. C’è bisogno, e con urgenza, di inventare una nuova fraternità. E’ la sfida più alta che abbiamo di fronte. Ai «mercati senza frontiere» deve fare da contrappunto una «fraternità senza frontiere». Come integrarci, restando differenti? Come far subentrare l’amore per la convivenza tra diversi alla paura di convivere con coloro che sono diversi da me? E’ una sfida che coglie in profondità la ragione stessa dell’umano.

 

 

  1. La posta in gioco: la dimensione animativa – e non solo operativa - della Caritas (ossia, quello che ancora non sono riuscito a realizzare nella mia parrocchia)

 

L’animazione locale della carità deve fare i conti con un deficit di consapevolezza ecclesiale circa il ruolo della carità nella pastorale ordinaria nelle nostre comunità. Lo stesso msg. Montenegro – presidente di Caritas Italiana - nell’intervento a Triuggio per il convegno di Caritas Ambrosiana del settembre 2005 affermava: « Ci si preoccupa più del cosa la Caritas debba fare, dimenticandosi del suo ruolo e delle ragioni portanti della sua istituzione. Ne è prova il fatto che la sua mancanza in una parrocchia non desta scalpore tanto quanto l’eventuale - improbabile - assenza del gruppo della catechesi e dell’animazione liturgica ».

La riflessione sulla carità ha spesso avuto una dimensione confinata all’ambito individuale ed ha sempre assistito ad una collocazione nell’ambito ascetico-mistico. La carità è stata pensata come virtù individuale, ma non adeguatamente come realtà da vivere comunitariamente, ecclesialmente e quindi in modo organizzato, nel senso di una rilevanza a livello di scelte pastorali condivise. Spesso è mancata una riflessione sulla pedagogia della carità, capace di ricercare un equilibrio tra i due eccessi:

- quello del confinamento del tema carità alla clandestinità della coscienza del singolo credente

- quello della professionalizzazione esasperata ed iperefficiente.

Entrambi questi eccessi portano la singola comunità cristiana a sentirsi “sollevata” dalla fatica di una pastorale della carità, cioè del fare entrare la carità nella pastorale ordinaria: nel primo caso relegando la carità a fatto individuale; nel secondo caso sgravandosi la coscienza dal momento che ci sono loro ...

 

 

La scelta della Chiesa italiana

 

La riflessione sulla Caritas deve essere riflessione su una scelta pastorale fatta dalla Chiesa italiana nel dopo-guerra e porta a pensare alla Caritas come a qualcosa di non facoltativo, di non opzionale. Non si tratta della descrizione di un movimento/organizzazione/... bensì della presentazione dell’organismo pastorale di base che la Chiesa italiana ha individuato per per educare alla carità attraverso un certo modo di organizzare la carità.

Ovviamente non si nega il diritto di cittadinanza a nessuna delle infinite forme caritative che la fantasia dello Spirito Santo può far sorgere, ma per un prete diocesano, per una Parrocchia o una comunità pastorale, quella della Caritas è la prima modalità da conoscere e seguire. Con la scelta della Caritas si tratta infatti di realizzare una dimensione organizzativa/operativa, ma con l’obiettivo di sostenere una crescita spirituale/mistico/ascetica di tutta la comunità cristiana e di ogni credente (e non solo degli operatori o dei volontari). Insieme, viene perseguito l’obiettivo di offrire una testimonianza di ciò cui conduce la vita cristiana quando è animata da un autentico ascolto della Parola e una vera celebrazione dei Misteri di Gesù.

 

Le caratteristiche della carità al modo della Caritas

 

Ma che significa, concretamente, avere questo riferimento? Che significa vivere e organizzare la carità nella forma elaborata dalla Caritas (almeno in Italia)? Quali le caratteristiche peculiari di questo modo di servire i poveri e quindi di vivere la fede?

Ferma restando anzitutto la dimensione pedagogica dell’essere Caritas, possiamo articolare attorno a dieci ingredienti che qualificano il servire i poveri al modo della Caritas. Si tratta di aspetti che vanno tenuti assieme e che non sono selezionabili arbitrariamente.

 

a. il primato dell’ascolto come scelta strategica e come fedeltà al dato teologico ed antropologico

b. il superamento dell’assistenzialismo che non fa crescere, contro la logica paternalistica che tiene in uno stato di minorità; una dimensione emancipativa capace di far evolvere la persona verso una piena autonomia

c. una forte dimensione sovraparrocchiale e la sperimentazione di una pastorale di insieme: affrontiamo problemi troppo grandi per potercela fare da soli

d. la relazione col territorio e le sue risorse (mappatura, coordinamento, advocacy): la nostra specialità è quella di costruire reti, alleanze, collaborazioni, contro il delirio di onnipotenza e il campanilismo autosufficiente; consapevoli di avere qualcosa da dire anche a proposito di politiche sociali, affinchè vengano rimosse le cause che generano esclusione e povertà e siano riconosciuti a tutti i diritti di cui ogni uomo è portatore

e. l’attenzione ai giovani e l’educazione alla pace, consapevoli di poter offrire percorsi di impegno accoglibili anche da persone con un fragile cammino di fede

f. la centralità del volontariato: la professionalità è indispensabile, ma guai se si dovesse perdere la profezia e la freschezza motivazionale di chi è disposto a dare qualcosa di sè gratuitamente per i poveri

g. la proposta di una robusta e periodica formazione perchè se non siamo professionisti non per questo non dobbiamo essere professionali: i poveri vanno trattati bene; una formazione che mantenga limpide le sorgenti motivazionali del nostro impegno e ci offra strumenti adeguati a offrire risposte esaurienti

h. la promozione di strumenti specialistici (fondazioni, cooperative, ...) per mantenere forte e chiara la priorità pastorale e pedagogica

i. il protagonismo laicale: più di altri ambiti della pastorale, quello caritativo permette di far emergere una corresponsabilità laicale alla missione della Chiesa

j. lo stabile riferimento al Vescovo, responsabile dell’attività caritativa della Chiesa (cfr. DCE 32)

 

Il rapporto tra carità e Caritas

 

La carità è l’identità del discepolo, realtà essenziale della Chiesa e della sua missione. La carità è virtù teologale, dono che viene dall’alto prima che frutto dell’impegno del credente. La carità è quell’ingrediente indisgiungibile all’ascolto della Parola e alla celebrazione dei sacramenti, perché si possa parlare di vita cristiana.

Quando parliamo di Caritas, ci riferiamo ad una scelta pastorale molto recente. Siamo al post-concilio e Paolo VI “inventa” la Caritas in sostituzione delle Pontificie Opere di Assistenza, nate nel dopo-guerra, al fine di venire incontro alle situazioni di povertà e di miseria in un Paese appena uscito dal conflitto mondiale.

Così si esprime Art. 1 Statuto Caritas Ambrosiana, cui fa eco il Sinodo 47:

“La Caritas Ambrosiana è l’organismo pastorale istituito dall’Arcivescovo al fine di promuovere la testimonianza della carità della comunità ecclesiale diocesana e delle comunità minori, specie parrocchiali, in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista dello sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione agli ultimi e con prevalente funzione pedagogica. La Caritas Ambrosiana è lo strumento ufficiale della Diocesi per la promozione e il coordinamento delle iniziative caritative e assistenziali, all’interno delle altre specifiche competenze diocesane”.

Il compito di educare alla carità e all’amore fraterno, ovviamente, la Caritas non ce l’ha in modo esclusivo, ma lo vive, come ricordano il Sinodo e lo Statuto all’art. 1

- in riferimento agli ultimi (es. i carcerati, gli ex internati nei manicomi, …)

- per la giustizia sociale e la pace

- con prevalente funzione pedagogica

Nonostante siano passati quarant’anni dalla costituzione della Caritas Italiana, la corretta comprensione e spiegazione di che cosa sia questo organismo ecclesiale ai vari livelli (nazionale, diocesano e parrocchiale) è ancora impresa non sempre facile. Persiste l’idea di un gruppo o super-gruppo caritativo, in concorrenza o sostituzione rispetto a gruppi, associazioni e servizi esistenti sul territorio, con mire egemoniche, deputato a distribuire aiuti e organizzare risposte a ogni sorta di problemi sociali e personali, con poteri e mezzi pressoché illimitati.

In realtà, la Caritas è anzitutto organismo pastorale, al servizio della crescita della Chiesa. Nasce dalla volontà di dare alla Chiesa coscienza e consapevolezza in ordine al Vangelo della carità; della Chiesa intende esprimere una dimensione radicale, fondante: quella di comunità di fratelli amati dal Padre e a loro volta testimoni di tale amore, non a parole ma attraverso segni, impegni e legami di solidarietà e condivisione, di giustizia e di pace, …

Consapevoli di essere, in questo ambito come in tutti gli altri della fede, in cammino, si capisce la prevalente funzione pedagogica della Caritas a favore dei singoli battezzati e delle comunità nel loro insieme, perché crescano nella capacità di vivere in una logica di disponibilità e di servizio, di prossimità e di ospitalità, di attenzione alle necessità del vicino di casa come ai grandi problemi del mondo, di passione per la pace e la giustizia.

 

La funzione pedagogica è un valido antidoto contro le tentazioni attivistiche: la Caritas deve in primo luogo porre segni di prossimità, là dove il bisogno è maggiore, per mostrare che prima che la denuncia ci appartiene l’impegno. Coloro che si mettono a servizio della comunità dovranno possedere la mentalità e lo stile dell’animazione, del coinvolgimento della comunità. E’ la logica dell’educare facendo e facendo fare.

Una funzione pedagogica nei confronti:

- della società

- della chiesa

- degli operatori

- dei destinatari

Quand’anche in una comunità non ci fossero poveri, ci sarebbe ugualmente bisogno della Caritas, dal momento che suo compito primario non è quello di occuparsi dei poveri, ma di cambiare il cuore della comunità perché ognuno senta come propri i problemi del territorio e del mondo.

 

Il rapporto tra Caritas, Centri di ascolto e servizi

 

E’ proprio la forte sottolineatura del carattere pedagogico di una Caritas che ci porta a distinguere la natura e l’identità di una Caritas parrocchiale, rispetto agli innumerevoli servizi che può far nascere, a partire dalla lettura dei bisogni di un determinato territorio.

Se “la caritas parrocchiale non può essere un’opzione facoltativa” (DQR, 29), i servizi possono assumere anche una dimensione interparrocchiale o decanale. Identificare la Caritas parrocchiale con un servizio per quanto prezioso significa rischiare di lasciarsi assorbire da una operatività che non è prioritariamente compito della Caritas. Ci bastino queste citazioni:

 

“La Caritas non ha il compito di occuparsi direttamente dei poveri, ma di cambiare il cuore della comunità, perchè ognuno senta come propri i problemi del territorio e del mondo”. (DQR, 30)

 

E’ dunque auspicabile che in ogni parrocchia nasca

 

“una commissione promossa dal CPP, dotata di un ruolo sia propositivo che operativo ...Uno o alcuni membri della Caritas parrocchiale la rappresentano nel CPP ... ed è opportuno che nella Caritas parrocchiale sia prevista una rappresentanza di competenze, sensibilità, fasce di età (catechisti, animatori liturgici, ...)”. (DQR, 32)

 

Al suo interno naturalmente sia presente il coordinatore del CdA, come anche i rappresentanti di altri gruppi caritativi presenti in parrocchia. Infatti

 

“La Caritas parrocchiale, lungi dal porsi in concorrenza, ha il compito di valorizzare, armonizzare, aiutare a crescere in termini operativi e soprattutto pastorali e spirituali, mostrare a un sempre più ampio numero di parrocchiani possibilità di impegnarsi”. (DQR, 28)

Tel/​​Cell us:

 3391780885 / 3392633134/ 3318556795/

Indirizzo/​Find us: 

Caritas Pastorale di Gozzano Piazzale Basilica                   e-mail: craveroalberto@gmail.com        

                                                                                                                           ucciolibrando@yahoo.it

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